martedì 6 novembre 2012

Porri in cocotte


...sera...sto ascoltando Mannarino...

(...) quanto è bbono l'odore der mare
ce vado de notte a cerca' le parole.
Quanto è bbono l'odore del vento
dentro lo sento, dentro lo sento.
Quanto è bbono l'odore dell'ombra
quando c'è 'r sole che sotto rimbomba.
Come rimbomba l'odore dell'ombra
come rimbomba, come rimbomba.
E come parte e come ritorna
Come ritorna l'odore dell'onda (...)

Avete dei porri? Del prosciutto cotto?
Pinoli ed emmental? 
Potreste ungere una cocotte od un teglia con dell'olio, 
tagliare a tocchetti i porri, avvolgerli col prosciutto cotto,
distribuirli nella cocotte, aggiungere qua e là fettine o/e dadini di emmental o brie...insomma quel
che preferite!...salare, pepare,oliare, infornare.
La versione classica vuole l'indivia belga, questa è una rivisitazione che difetta d'inventiva ma eccede in pinoli!
:-)

sabato 27 ottobre 2012

Come una freccia dall'arco scocca


Nessuna crisi abbandonica in atto?
...ma vi sarò mancata un po'?
...tenterò di recuperare con qualche dritta...vi posto dei link per farmi perdonare la lunga assenza!
Pronti? Via!!

1) Petra Magoni: me ne ha parlato un amico talmente bene che son subito venuta a curiosare in web...ho scelto questa. 
Profuma di Amelie, odora di Fabrizio, è adatta ad Halloween...il video è interessante...che ne dite?
 Vi piace?
 'Essendo'...aspetto commenti! ;-)

2) A teatro, per chi è a Roma: 
- che mi dite di Benni? ...in tal caso... cliccate qui!
-amate la pesca, Roma, la romanità, la mortadella, le trote e l'amarezza che spesso si cela dietro un sorriso? Se sì, potreste fare un salto al Teatro Cometa...in pieno centro...

3) O ancora  potreste vedere: tutti i santi giorni di Virzì, al cinema: una perlina ma non vi anticipo nulla...solo  lascio link.


Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.

Così, per concludere, l'ode alla vita di Martha Medeiros.

venerdì 27 luglio 2012

Del tuo veleno mi avvelenerò



Come gli adesivi che si staccano
Lascio che le cose ora succedano
Quante circostanze si riattivano
Fuori dai circuiti della volontà.

Come il vento gioca con la plastica
Vedo trasportata la mia dignità.

Oggi tradisco la stabilità
Senza attenuanti e nessuna pietà.
Oggi il mio passato mi ricorda che
Io non so sfuggirti senza fingere.

E che non posso sentirmi libero
Dalla tua corda, dal tuo patibolo.



E un'altra volta mi avvicinerò
Alla tua bocca mi avvicinerò
E un'altra volta mi avvelenerò
Del tuo veleno mi avvelenerò.

Come gli adesivi che si staccano
Come le cerniere che si incastrano
Come interruttori che non scattano
O caricatori che si inceppano

Io tradisco le ultime mie volontà.
Tutte le promesse ora si infrangono. 




Penso ai tuoi crimini senza pietà
Contro la mia ingenua umanità.

Scelgo di dissolvermi dentro di te
Mentre tu saccheggi le mie lacrime.

E sarò cieco, forse libero
Solo nell'alba di un patibolo.
Dentro una storia senza più titolo
Scegliendo un ruolo senza credito
Strappando il fiore più carnivoro
Io cerco il fuoco e mi brucerò.

E un'altra volta mi avvicinerò
Alla tua bocca mi avvicinerò
E un'altra volta mi avvelenerò
Del tuo veleno mi avvelenerò 



sabato 26 maggio 2012

Squagliamocela: liberi tutti

Iniziamo così.
Da ciò che uccide te e tutto ciò che è intorno: liberi tutti. Io mi libererò perché ora sono stanca...
Un po' d'elettronica.
(Ci piace un altro 30? Ci piace, ci piace...con lode stavolta ;-)
-Perché è fuori catalogo ovunque la pedagogia degli oppressi
Possibile mai?-

'(...) chi sono questi noi? Sono quelli che, per assicuare alla convivenza umana un po' di pace, un po' di giustizia, un po' di libertà, sono o sarebbero disposti a dare credito ad alcuni loro simili di poter governare la collettività, e a dotarli della necessaria autorità, e che perciò rinunciano ad imporsi con la forza dei loro privilegi o con la violenza dei loro desideri. 
Credo che rinunciare alla prepotenza per convivere civilmente con altri, lo abbiano chiamato contratto sociale; ci hanno scritto sopra dei gran libri e molta storia occidentale si è sviluppata alla luce di questa idea.
Qui, pensiamo semplicemente ad una persona comune che vive, come tutti, chi più chi meno, una vita in cui i nove decimi delle cose accadono, comprese quelle che la riguardano direttamente, sono fuori dal suo controllo. 
Tale è la vita organizzata anche là dove vige la più liberale delle costituzioni. 
La persona acconsente, qualche volta si arrabbia, qualche volta imbroglia, ma continua a salutare i vicini, a fermarsi davanti al rosso, a sposarsi, a votare etc.
Fa la sua parte insomma: si lava, tiene pulita la casa, si veste con decoro, non ruba, paga anche le tasse o una parte, alleva i figli e li manda a scuola etc.
 E' la sostanza del vero patto sociale, quello tacito e quotidiano: andare d'accordo col prossimo, tener conto delle leggi e dare credito a chi è in posizione di responsabilità pubblica, per vedersi riconosciuta una dignità personale in un contesto di vita sociale sensata e pacifica. 
In nome di questo patto la persona dice, in sostanza: rinuncio a molto di quello che mi farebbe comodo, per assicurare le condizioni minime di un vivere dignitoso a me e ad altri.  
O qualcosa del genere.
Lo dice implicitamente, non riflette sul significato profondo del suo comportamento, ma è un sentimento che la nutre e la aiuta.
Questo fino a quando non viene a sapere che, per conto suo o perfino in nome suo, da qualche parte  ci sono aerei che buttano le bombe sulle case di persone ignare e innocenti, militari che torturano prigionieri, scienziati che studiano congegni sempre più micidiali, lauti affari che si fanno vendendo armi sofisticate a paesi che non hanno né scuole né ospedali a sufficienza.
Cose così.
Come se fosse normale o inevitabile.
La persona di cui sto raccontando, a questo punto, può protestare, tacere, ammalarsi.
Può fare un'altra cosa, che io propongo in alternativa: può ritirare il suo tacito consenso all'ordine che regola la convivenza. E dirsi, con un atto interiore che avrà delle conseguenze pratiche: 
io non ci sto,
non dò più il mio credito alle leggi e alle autorità costituite, mi riprendo l'intera disponibilità di me e della mia forza, devo amministrarla io, poca o tanta che sia, e mi do la licenza di usarla. Non cadrà per questo in uno stato di selvaggeria o di barbarie.
(...)
La persona, dunque, senza inferocirsi o inselvatichirsi, constata  semplicemente che è vano agire in nome di una fiducia nella cosa pubblica con l'aspettativa di un ritorno.

                                             -Luisa Muraro tratto da 'Dio è violent'-
                                              (Grazie Andre per avermene fatto dono).


Fa male fa male fa male fa male. (Grazie Dà per aver avermi fatto scoprire Zamboni! Consiglio l'ascolto di 'sorella sconfitta' che può più o meno piacere ma di sicuro conduce ad uno stato ipnotico di quelli che all'alba, alla guida, ti fa vivere un'esperienza senza eguali!)

domenica 22 aprile 2012

Sulla Tav (e non solo) la penso così

"Una bieca circostanza, solo apparentemente marginale, che si inquadra nel profilo della vertenza sorta in Val di Susa e che ha destato in me una reazione di scandalo, al di là della dura repressione scatenata contro il movimento No TAV, si riferisce al tentativo di strumentalizzazione e mistificazione ideologica del pensiero di Pier Paolo Pasolini compiuto da alcuni esponenti prezzolati dell’informazione nazionale. Alludo a quanti hanno provato a distorcere e strumentalizzare in modo indegno e disonesto una posizione assunta da Pasolini molti anni fa, il 16 giugno 1968, quando pubblicò i famosi versi intitolati “Il Pci ai giovani”, sugli scontri di Valle Giulia a Roma. In quella occasione Pasolini si schierò dalla parte dei poliziotti, in quanto di estrazione proletaria, mentre si scagliò apertamente contro la “massa informe” degli studenti, figli di quella borghesia che egli detestava profondamente. Eppure Pasolini non ha mai rinnegato o esecrato i movimenti di contestazione come Lotta Continua o altre formazioni extraparlamentari, con cui ha persino collaborato attraverso esperienze di controinformazione. Si pensi solo alla controinchiesta condotta dal collettivo politico di Lotta Continua guidato da Giovanni Bonfanti e Goffredo Fofi, che si concretizzò nel film-documentario “12 
dicembre”, uscito nel 1972 e dedicato alla strage di Piazza Fontana. Un’opera la cui realizzazione coinvolse direttamente Pasolini, il quale contribuì pure alla sceneggiatura.
In altri termini, la disonestà intellettuale e la mistificazione ideologica di questi presunti operatori dell’informazione, in evidente mala fede, consistono nel fatto che essi espongono solo la versione dei fatti che fa loro comodo, mentre tacciono, o fingono di dimenticare, quella porzione di verità che non conviene (o non interessa) raccontare.
Tornando alla questione della TAV, è assai probabile che Pasolini avrebbe solidarizzato e simpatizzato nei confronti della mobilitazione popolare sorta in Val di Susa, conoscendo il rispetto quasi sacrale e la passione viscerale che nutriva per lo studio e la salvaguardia di ogni identità antropologica particolaristica, da intendersi in un’accezione tutt’altro che nostalgica o reazionaria, intimamente connessa ai valori più autentici e genuini dell’uomo, spazzati via dall’omologazione imposta dall’ideologia del “pensiero unico”.
In tal senso la vertenza scaturita in Val di Susa è paradigmatica, in quanto la TAV non è un progetto al servizio della modernità e del progresso dei popoli, bensì delle merci e dei profitti, ossia delle forze egemoni nel mondo capitalistico. Si tratta di una vicenda esemplare che smaschera il volto ipocrita, autoritario e affaristico dei sedicenti “stati democratici”, che dirottano soldi pubblici nelle tasche della grande imprenditoria privata, infiltrata dalla criminalità organizzata, per finanziare opere faraoniche prive di vantaggi sociali e molto discutibili a livello economico, in quanto costose ed inutili per rilanciare l’economia in crisi. Nel contempo si depotenziano le infrastrutture ferroviarie del Sud Italia, considerate di minore importanza, e si tagliano fondi ai settori pubblici che, oltre a creare opportunità di lavoro, forniscono beni e servizi utili alla collettività.
In questa ottica la TAV è una chiara testimonianza dell’assoluta subalternità del potere pubblico alla logica del profitto privato, l’ennesima conferma che certifica il primato della sfera economica sulla dimensione collettiva della politica, anteponendo le leggi ferree e spietate del mercato e la forza smisurata del capitale, agli interessi della comunità, del territorio e della sanità locale, della democrazia e della giustizia sociale.
Di fronte ad ingranaggi così folli e mostruosi, si erge in termini antagonistici il movimento No TAV che, a dispetto di quanti sostengono il contrario, denota un ruolo di protagonismo attivo delle popolazioni locali, che ormai oltrepassa i confini territoriali della Val di Susa e coinvolge gruppi di militanti provenienti da tutta l’Italia e persino dall’estero. Non è un caso che questa vertenza locale si allacci saldamente con le proteste e le rivolte globali che hanno sconvolto il mondo nell’anno appena trascorso.
Del resto, una lotta per la tutela dell’ambiente e della salute della gente, potrebbe configurarsi come una posizione di retroguardia, quindi di conservazione. E in un certo senso lo è. A tale proposito rammento una provocazione“corsara” che Pasolini lanciò oltre 35 anni fa, l’ennesima intuizione “profetica”: in una società consumistica di massa che promuove “rivoluzioni” ultraliberiste che potremmo facilmente definire “di destra”, i veri rivoluzionari sono (paradossalmente) i “conservatori”. I cambiamenti innescati nel quadro dell’economia capitalistica contemporanea, sono di natura liberticida e reazionaria, frutto di un’accelerazione storica improvvisa che ha determinato un processo di sviluppo abnorme ed irrazionale, di globalizzazione a senso unico, in ultima analisi sono “rivoluzioni conservatrici”. Il ricorso ad un ossimoro serve ad indicare la funzionalità ad un’istanza di stabilizzazione conservatrice dei rapporti di forza esistenti.
Quanti si battono per arginare la deriva autoritaria e destabilizzante provocata dallo strapotere delle oligarchie finanziarie, per contenere l’offensiva neocapitalista sferrata contro le conquiste dei lavoratori, per resistere agli assalti della destra più agguerrita e oltranzista (che non è tanto la destra berlusconiana o leghista, quanto quella più elegante e sofisticata delle tecnocrazie che fanno capo al governo Monti), coloro che si adoperano per mantenere le condizioni residuali di legalità democratica e le tutele costituzionali, sono indubbiamente “conservatori”, per cui oggi sono i veri rivoluzionari.
Ma essere contro la TAV non equivale ad essere contro il progresso, bensì contro un falso e aberrante modello di sviluppo che genera una perversa e fallace nozione di “modernità”. Gli esiti rovinosi di questa modernizzazione posticcia sono ravvisabili ovunque, soprattutto in un processo di perversione e degrado dei rapporti umani, improntati in maniera sempre più ossessiva ad un interesse esclusivo, la ricerca del profitto, quale unica ragione esistenziale da esibire e proporre alle nuove generazioni.
Questo paradigma ideologico è altamente diseducativo e deviante, poiché si assume come fine univoco uno stile di vita e di comportamento che diviene pervasivo e non è sorretto da una coscienza intellettuale sufficientemente critica, capace di sostituire, se occorre, quell’esigenza unilaterale e morbosa con valori etici e culturali più gratificanti.
L’imposizione di una visione  della vita che è perfettamente conforme all’ordinamento economico e politico dominante, non si esercita più attraverso strumenti di coercizione e di oppressione diretta, ma si esplica con procedimenti diversi rispetto al passato, ricorrendo a sistemi di alienazione subdola e strisciante che solo apparentemente sono democratici e pacifici, ma in effetti si rivelano più repressivi di una dittatura fascista. Il controllo degli stati e delle società tecnologicamente avanzate non si regge tanto sull’uso della forza militare, quanto sul ruolo di condizionamento, disinformazione e manipolazione ideologica svolto dalla televisione. Vale la pena di richiamare la tesi sostenuta da Pasolini in diverse circostanze a proposito della televisione, considerata come un mezzo di comunicazione antidemocratico, poiché non suscita e non consente uno scambio dialettico interattivo, ossia aperto e paritario, ma al contrario privilegia ed esalta un rapporto autoritario e paternalistico, che non ammette possibilità di replica.
In tal senso, la televisione incarna il nuovo fascismo, il vero Leviatano della modernità."

Questo è un articolo di Lucio Garofalo pubblicato su Anarchaos.
Un'altra robina interessante...a breve...

giovedì 12 aprile 2012

Romanoff di mele e frutti di bosco


Giorno...tra il trota, la Mauro, l'imu, le allegre combriccole industriose tutt'un tratto ché la cosa più seria in questo paese è Belen...e quindi speriamo che lo sia, un buongiorno dico, vi posto la ricetta di questo dolce qua e colgo l'occasione per:
-ringraziare le colleghe che lo scorso anno, per il compleanno, mi hanno regalato uno stampo della silikomart a forma di fiore (si vede sì?);
-segnalarvi un ricettario monotematico molto carino qui! (La ricetta è appunto contenuta nel volumetto)

Intanto occorre premettere che:
se non avete a disposizione uno stampo in silicone poco male, vi basterà foderarne uno in alluminio o vetro, con la pellicola; se utilizzerete lo stampo in silicone, per sformare al meglio il semifreddo, occorre che tamponiate lo stampo con un panno tiepido appena tolto dal congelatore in modo da favorire il distacco del dolce dalle pareti per poterlo impiattare.

Occorrente per il Romanoff:
-3 mele smith (o tipo acidule)
-3 cucchiai di zucchero (io ne ho messi 2 di semolato bianco ed 1 di zucchero a velo vanigliato)
-250 gr da montare
-6 cucchiai di yogurt naturale denso (io ne ho messo 1 vasetto al limone)
-4/6 meringhe piccole (io ne ho messe 3 grandi)
-250 gr di frutti di bosco
-qualche fogliolina di menta per decorare e granella di zucchero
-scorza di limone

Pulite le mele, tagliatele a pezzetti, mettetele a cuocere con i due cucchiai di zucchero semolato per qualche minuto poi riducetele in passata appena saranno morbide.
Montate la panna poi aggiungeteci:  yogurt, scorza di limone, purè di mele raffreddata, meringhe sbriciolate, il cucchiaio di zucchero a velo passato al setaccio, i frutti di bosco.
Riponete nel congelatore 3/4 ore. Sformate poco prima di servire e decorate se volete con le foglioline di menta e la granella di zucchero. Ps: io ho accompagnato con un passito...

venerdì 6 aprile 2012

Samba pa' ti

(...)e lui si trascinò dietro la sua zoppicante coscia storta, si rintanò in un bar e buttò giù tre o quattro sambuca.
Fatto di sambuca e solitudine, storto zoppo sul litorale di Torre del Greco, lontano da Sinatra, da Billy Joel, da Tom Jones e perfino da Pupo camminava nell'aria piena di odori, aria che sapeva di mangiare e di salsedine, di gas di scarico e di facce che si guardavano sempre attorno, facce diffidenti, intimorite e spavalde allo stesso tempo, facce di chi ha paura, di chi s'aspetta qualcosa da un momento all'altro. Sergiolozoppo, SergioTonydelmare, Sergiolazzarofelice, Sergio che le donne non t'hanno mai guardato, e va a capire perché, perché sei zoppo, perché sei brutto, perché dici di cantare invece non canti, perché ti piace Nicola di Bari fratello di bruttezza, ma almeno lui se ne va in Sudamerica e dov'è mai il tuo Sudamerica , triste Sergiodelmare? 
Dov'è il mare del tuo nome d'arte, quando mai t'ha visto nuotare trascinandoti dietro il tuo difetto che t'ha segnato per tutta la vita?!? 
Tornò a casa inzuppato fradicio e si chiuse in bagno. 
Si guardò allo specchio e si passò con dolcezza la mano sul viso; viso di barba che cominciava a diventare bianca, per i suoi trentainque anni portati male, per i suoi trentacinque anni di seghe e di donne sognate. (...)

Questo pezzo qua -l'immensità- è tratto da un libro di Peppe Lanzetta che s'intitola 'figli di un bronx minore' ed è ambientato a Napoli, è in vero una raccolta di storie...una più bella dell'altra. 
Come ben sapete 'bella/o' non è un termine che uso abitualmente, tutt'altro!, ma davvero non saprei come altro definire ognuno di questi brani se non  B E L L O.
Laddove mancano l'amore/il calore di una donna o anche solo il suo profumo, il denaro onestamente/disonestamente(?) guadagnato(?), la casa, certezze, diritti, l'istruzione -il primo tra tutti oserei dire- possibilità e riscatto...dove regnano sopraffazione, incuria, solitudine...Lanzetta ha scavato scrivendo di ardore, dignità, costume, abitudini, lotte, vita...tentativi...morte, deprivazioni, disagi, alternative varie...
Una perla che vi linko qui.

Si, io lo so: tutta la vita sempre solo non sarò.
Un giorno lo saprò, d'essere un piccolo pensiero
nella più grande immensità...
...un giorno troverò un po' d'amore anche per me, per me che sono nullità nell'immensità...

La canzone che cantava Sergio, il protagonista della storia.
Mi piaceva l'idea di questo lungomare odoroso, di questo qualcosa in fermento eppure quasi immobile...di queste facce...qualunque...
di questo tutto e di questo niente
mentre sul bus passavo per Primavalle...
con gli edifici popolari appena ripuliti.
Io che qualche giorno fa mi domandavo:
chissà quanto durerà questo candore?
Non son trascorsi che due giorni prima di vederli imbrattati di nuovo.
Ma ci sta eh, ci sta anche questo.
Ringrazio Manuela, amica e collega, che mi ha prestato due libri che consiglio vivamente prim'ancora d'averli letti (ho dato una rapida occhiata e mi fido degli autori) e che si andranno, per ovvi motivi,
ad aggiungere alla lista di quelli sul comodino:
-Outsiders,saggi di sociologia della devianza di Howard S.Becker;
-Stigma,l'identità negata di Erving Goffman.

Mi sa che sconnetto...il cake ve lo posto un'altra volta ;-)